mercoledì 2 maggio 2012

Atti di disposizione di beni a titolo gratuito: sono incompatibili per gli enti locali

Non appare compatibile con la natura di ente pubblico disporre di beni patrimoniali con atti a titolo gratuito – quale un comodato – essendo ciò contrario ai principi fondamentali di economicità e di buon andamento dellʼazione amministrativa. Eʼ quanto affermato dai Giudici della sezione regionale di controllo per il Lazio nella deliberazione n. 27/2010/Par, a seguito della richiesta di parere da parte
di un Comune che intendeva stipulare un contratto di comodato dʼuso gratuito
per la concessione di unʼarea di proprietà comunale ad una società consortile, senza scopo di lucro, partecipata dal comune medesimo, onde permettere lʼinstallazione di opere mobili per la promozione turistica e congressuale del territorio; in alternativa, si richiedeva altresì il parere circa la possibilità di ricorrere ad un contratto di sponsorizzazione. Lʼanalisi condotta dai Giudici è anche giunta ad esaminare lʼeffettiva disponibilità del bene da parte dellʼente, ravvisando, nella fattispecie, vincoli per usi civici che comunque ne rappresentavano una limitazione. A tal proposito, essa si è incentrata in primo luogo sulla natura del diritto dellʼente interessato sullʼarea in questione, posto che questa – come precisato nel parere stesso – era stata definita “di proprietà comunale e ricompresa nei terreni di demanio collettivo” nella nota allegata alla richiesta medesima. Mentre, infatti – sempre secondo quanto affermato dal Collegio – nellʼipotesi in cui lʼarea relativa avesse fatto parte del demanio comunale, ogni atto di disposizione sulla stessa avrebbe dovuto avvenire esclusivamente nella forma di un provvedimento concessorio, lʼappartenenza della stessa al demanio collettivo avrebbe comportato una procedura comunque diversa. I Giudici, a tal proposito, hanno proseguito illustrando le caratteristiche del demanio collettivo, comprendente aree di proprietà comunale soggette ad usi civici, costituiti ab immemorabili a favore di soggetti appartenenti a determinate categorie – in genere individuabili negli abitanti residenti da un numero minimo di anni su un determinato territorio – alle quali fanno capo determinati diritti di godimento, nella forma appunto di servitù di uso civico. I Giudici medesimi, ripercorrendo le vicende recenti della loro regolamentazione positiva, hanno ricordato coma la legge 16 giugno 1927, n. 1766, allʼart. 4, individuasse queste nella facoltà, attribuite ad unʼentità FL&C.it 35.2010 || 22 settembre 2010collettivamente determinata, nel “far legna”, nel pascolo degli animali, nel prelievo di acque o nello sfruttamento dei prodotti del sottobosco. Solo la comunità titolare di tali servitù ad uso civico poteva pertanto estinguere i corrispondenti diritti di godimento sui beni oggetto, per alienarli o renderli commerciabili, mentre ciò era comunque precluso allʼente, in assenza di un apposito provvedimento dellʼautorità amministrativa competente. A tal proposito, lʼart. 12 della citata legge n. 1766/1927, inibiva a comuni ogni atto di disposizione di terreni soggetti a servitù di uso civico, senza lʼautorizzazione dellʼallora Ministero dellʼeconomia nazionale; successivamente, a seguito dellʼentrata in vigore del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, tale potere risulta attualmente trasferito alle Regioni. Sempre proseguendo nelle vicende evolutive relative, i Giudici hanno anche ricordato la trasformazione man mano avvenuta nel concetto di uso civico, verso lʼaccezione di vincolo ambientale e paesaggistico, che ne contraddistingue lʼattuale connotazione giuridica. Ciò trova conferma, infatti, nel D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – il Codice dei beni culturali e del paesaggio – il quale, allʼart. 142, comma 1, lett. h), pone una riserva di legge per le aree gravate da servitù di uso civico, sino allʼapprovazione del piano paesaggistico previsto nel decreto medesimo. In tal modo veniva riconosciuto alle aree medesime una tutela di rango costituzionale, rientrando nellʼalveo dellʼart. 9, comma 2, della Costituzione, laddove si afferma la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. A seguito poi della riforma del Titolo V della Costituzione stessa, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali rientra tra le materie a legislazione concorrente Stato-Regioni; discende da tale impostazione normativa che un comune non può modificare la destinazione dei beni sui quali >insistono servitù di uso civico, se non nellʼambito delle disposizioni normative che lo Stato e la Regione, secondo le rispettive sfere di competenza, hanno predisposto. In assenza di tali, appositi provvedimenti normativi della regione interessata – concludono i Giudici – un comune non può modificare la destinazione di unʼarea ad uso civico, né essa può essere oggetto di alcun atto di disposizione, anche nella forma del comodato o di una sponsorizzazione. Nessuna limitazione in tal senso opererebbe invece ove il bene facesse parte del patrimonio del comune A tale ultima affermazione, posta in linea astratta, i Giudici hanno tuttavia fatto seguito affermando come le caratteristiche dellʼatto di disposizione medesimo debbano comunque essere compatibili con la natura di un ente pubblico, il quale non può disporre di beni, anche patrimoniali, con atti a titolo gratuito, se non contravvenendo ai principi di economicità e di buon andamento dellʼazione amministrativa. Lʼinteresse pubblico meritevole di tutela che lʼente intende tutelare deve essere quindi perseguito – sempre secondo i Giudici – mediante provvedimenti e strumenti con forma giuridica consona, per i quali, tuttavia, la scelta del contraente deve avvenire, in linea generale, attraverso procedure che garantiscano il rispetto dei principi fondamentali di efficacia, efficienza e trasparenza dellʼazione amministrativa. La richiesta del parere in questione verteva, inoltre, sulla possibilità alternativa del ricorso ad un contratto di sponsorizzazione. A tal proposito, i Giudici - ribadendo comunque la relativa praticabilità, in senso astratto, solo nellʼipotesi di unʼappartenenza del bene oggetto al patrimonio dellʼente – hanno concluso FL&C.it 35.2010 || 22 settembre 2010evidenziando che il contratto di sponsorizzazione, che pur trova una definizione normativa (legge n. 223/1990, art. 43 legge n. 449/1997, art. 119 D.lgs. n. 267/2000), rimane sostanzialmente un contratto atipico, la meritevolezza del quale deve essere vagliata alla luce degli interessi perseguiti dalle parti.

Scarica il parere e la spegazione QUI

Inoltre sempre un parere della Corte dei Conti Puglia che potete leggere qui individua la norma che
attribuisce alle amministrazione locali la possibilità di concedere in comodato gratuito:

D.P.R. 13 settembre 2005 n.296, (capo III artt. 9 e ss)

Articolo 9 Immobili oggetto di concessioni o locazioni a titolo gratuito o a canone agevolato 1. Possono essere oggetto di concessione ovvero di  locazione, in favore dei soggetti di cui agli
articoli 10 e 11, rispettivamente a titolo gratuito ovvero a canone agevolato, per finalità di interesse
pubblico o di particolare rilevanza sociale, gli immobili di cui all'articolo 1, gestiti dall'Agenzia del
demanio nonché gli edifici scolastici e gli immobili costituenti strutture sanitarie pubbliche o
ospedaliere. Ove si tratti di immobili di cui sia stato verificato l'interesse culturale ovvero di
immobili per i quali operi, in attesa della verifica, il regime cautelare previsto dall'articolo 12,
comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004, il provvedimento di concessione o di locazione è
rilasciato previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali. 
Articolo 10
Soggetti beneficiari a titolo gratuito 1. Sono legittimati a richiedere a titolo gratuito la concessione ovvero la locazione dei beni
immobili di cui all'articolo 9
, con gli oneri di ordinaria e straordinaria manutenzione a loro totale
carico, i seguenti soggetti: 
a) le università statali, per scopi didattici e di ricerca, ai sensi dell'articolo 51 della legge 27
dicembre 1997, n. 449;  b) le regioni, relativamente agli immobili dello Stato destinati esclusivamente a servizi per la
realizzazione del diritto agli studi universitari, ai sensi dell'articolo 21 della legge 2 dicembre
1991, n. 390; 
c) gli enti ecclesiastici di cui all'articolo 23, relativamente agli immobili adibiti a luogo di culto,
ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 2 aprile 2001, n. 136; 
d) le province e i comuni, relativamente agli immobili dello Stato utilizzati come sede di
istituzione scolastica, ai sensi della legge 11 gennaio 1996, n. 23; 
e) l'Istituto superiore di sanità, per finalità istituzionali, ai sensi dell'articolo 47 della legge 16
gennaio 2003, n. 3; 
f) i soggetti che esercitano le attività di cui alla legge 1° agosto 2003, n. 206, relativamente agli
immobili dello Stato in comodato d'uso gratuito.  (oratori)

Le associazioni, pertanto non rientrano. Possono solo ottenere CANONI AGEVOLATI

Pertanto mi pongo e Vi pongo tre domande:

1) A che titolo le attuali associazioni, oggi, sono nelle sedi degli immobili comunali (alemo quelle a titolo gratuito)? Dato che il comune non può disporne con contratti di comodato d'uso gratuito, il contratto è da intendersi NULLO?
2) Il comune di Fiuggi  prima di provvedere a produrre il contratto, ha giustamente rivolto il quesito alla Corte dei Conti, la quale ha dato la sua risposta. Perchè il Comune di Adelfia non lo ha fatto?
3) In ultima analisi e' ravvisibile il danno erariale? E se si chi paga? Il solito pantalone?

Antonio Di Gilio

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